Intervista a Paolo Possamai, giornalista e storico. Realizzata da Milvia Pandiani-Lacombe.
Paolo Possamai, giornalista, storico, nato a Vicenza, ha diretto vari giornali del gruppo editoriale GEDI tra i quali il Piccolo, principale quotidiano della nostra città. Autore del libro Nettuno e Mercurio, il volto di Trieste nell’800 tra miti e simboli, Paolo Possamai ha gentilmente accettato di rilasciarci un’intervista per condividere con noi la sua visione di Trieste.
Quando è stato il suo primo incontro con la città di Trieste? La conosceva già prima di diventare Direttore del Piccolo nel 2008?
Mi è capitato a più riprese a cavallo fra anni 90 e primi anni 2000, da inviato speciale per i quotidiani del gruppo Espresso, di essere a Trieste. Mi sono occupato di elezioni comunali e regionali, di Autovie, di Generali, di Fincantieri, di porto e dell’allora municipalizzata Acegas. Potrei dire di essere arrivato in città per occuparmi pro tempore del Piccolo avendo già una buona rete di relazioni e una qualche chiave interpretativa. Il che non mi ha in alcun modo impedito di pormi in ascolto, che è l’unica attitudine per imparare e uscire più ricchi da un incontro.
Ci sono tanti libri che raccontano in modi diversi la città di Trieste. Per esempio, quello di Gianni Cimador “Trieste di carta”, la racconta attraverso la letteratura, quello di Veit Heinichen “Trieste la città dei venti”, attraverso le sue tradizioni culinarie e culturali. Come è nata l’idea di questo suo libro “Nettuno e Mercurio, il volto di Trieste nell’800 tra miti e simboli”, quando si è concretizzata?
Il mio approccio con le città tende sempre a individuarne il tratto caratterizzante. Se stessimo parlando di un individuo parleremmo della “personalità” ossia degli aspetti che ne costituiscono la cifra stilistica. Relativamente a Trieste, per sette anni l’ho attraversata quotidianamente a piedi e mi sono dunque interrogato in continuo sul suo volto urbano. Nell’autunno del 2015 Giuseppe Laterza su questo tema mi chiese di aggiungere una mia conferenza al ciclo delle Lezioni di storia, che con l’accompagnamento del Piccolo l’editore proponeva al teatro Verdi. E così il 6 marzo del 2016 al Verdi, appena un paio di settimane prima di lasciare la direzione del Piccolo, ho proposto ai triestini la mia interpretazione sui segni che apparivano sulle facciate di gran parte dei palazzi ottocenteschi. Da quei primi studi è nato poi il percorso di ricerca da cui è scaturito il libro, che è l’esito di lavoro di archivio ma anche di confronto con numerosi storici dell’arte e specialisti del neoclassico.
La copertina del libro
Come possiamo capire l’identità e la storia di Trieste guardando queste statue di Mercurio, Nettuno, Ulisse, Giasone, Venere, sugli edifici della città? La ripetitività quasi ossessiva sul volto urbano di Trieste delle figure di Nettuno e Mercurio, in primis, costituisce a mio avviso l’evidenza di un fattore identitario. Il fatto che tali divinità della mitologia greca appaiano per statue, fregi, ferri battuti, bassorilievi, portoni istoriati di palazzi pubblici e privati, financo hotel, rappresenta un ‘unicum’. Intendo dire che non mi risultano vicende urbane apparentabili. Naturalmente, per esempio, anche a Venezia la metafora di Nettuno è chiamata spesso in campo nel racconto che la Serenissima propone di sé per immagini. Ma non in una dimensione così esclusiva e anzi escludente come avviene a Trieste. A Venezia, Nettuno è appena una voce all’interno di un concerto o meglio di un coro, mentre a Trieste è dominatore assoluto assieme a Mercurio. Perché Trieste intende manifestare un concetto chiaro e semplice: le sue fortune collettive sono effetto della coniugazione di mare e commerci, di Nettuno e Mercurio. Accanto a questi due padri, compaiono anche Atena dea della cultura e Apollo dio delle arti, a comporre una folla di statue a coronamento dei tetti della città.
La statua di Nettuno sul palazzo della Giunta regionale
Il fastigio con Nettuno e la Storia e la Geografia sulla facciata del Tergesteo rivolta a piazza della Borsa
Palazzo Stratti in piazza Unità con il complesso incardinato sulla allegoria della Città di Trieste
Le bellissime fotografie delle statue in cima ai palazzi pubblicate nel suo libro, sono state fatte in presa frontale. Come mai questa scelta? E come sono state realizzate?
Con i fotografi Schirra e Giraldi, professionisti eccellenti, abbiamo condiviso alcune scelte di fondo. La prima consiste in una campagna fotografica come mai è stata realizzata prima, per vastità e cura. Ma non di meno è rilevante la scelta stilistica di realizzare gli scatti solo in giornate di cielo coperto, in modo da evitare le ombre che impediscono una lettura appropriata sia dei bassorilievi che delle statue. Infine, Schirra e Giraldi hanno utilizzato droni per poter cogliere le statue alla loro altezza, al piano attico dei palazzi, senza dunque le distorsioni implicite negli scatti realizzati dal piano stradale.
Chi era Demetrio Carciotti? Perché è stato determinante nell’identità architettonica di Trieste?
Demetrio Carciotti giunse a Trieste da Smirne attorno al 1775, forte delle fortune già realizzate in quella città. Ma è a Trieste che diviene un autentico protagonista della scena economica e politica, esponente di spicco della comunità greca, con iniziative imprenditoriali di tale successo da consentire un’operazione del tutto straordinaria sul piano urbanistico e architettonico. Parlo del palazzo che Demetrio volle erigere sulle rive, esattamente nel lotto d’angolo con il canal grande, che era all’epoca il porto canale. Al calare del secolo, Carciotti chiamò da Milano uno degli allievi più brillanti di Giuseppe Piermarini, ossia lo svizzero-tedesco Matteo Pertsch. Appunto Pertsch importa e interpreta a Trieste la lezione neoclassica che aveva visto a Milano: basta guardare, per esempio, la facciata del teatro Verdi triestino e quella della Scala milanese. In secondo luogo, Carciotti convocò da Venezia frescanti, decoratori, scultori, ebanisti orfani della Serenissima e alle prese con la stasi dei cantieri. Carciotti, da committente illuminato, ha partecipato anche alla concezione del programma iconografico del suo palazzo: in qualche modo un programma che, a partire dalla mitologia greca così a lui familiare, racconta anche di lui, mercante, e dei suoi doveri sociali.
La facciata rivolta al mare di palazzo Carciotti
In che modo la componente etnica di Trieste è fondamentale nel suo racconto urbano?
Il fattore etnico è fondamentale nel dispiegamento del racconto urbano triestino, nel senso che in un certo qual senso tutte le varie comunità accettano di annullarsi. Intendo che la scelta di Nettuno e Mercurio, e di varie altre figure mitologiche, costituisce un punto di incontro tra culture, lingue, etnie differenti. Se ciascuna di esse avesse manifestato o addirittura esaltato i propri fattori di differenziazione, per esempio quelli di carattere religioso o confessionale, non sarebbe stato possibile comporre un racconto omogeneo e unitario. Nel nome del business, praticato per mare e commerci, le varie componenti etniche trovano un baricentro e un equilibrio di pace e civile convivenza.
Ci sono altre città in Italia o in Europa che hanno un’identità esibita di maniera cosi chiara?
La chiave di lettura applicata per Trieste può essere impegnata come norma nel tentativo di cogliere l’identità di una città. Per esempio, il volto urbano di Brescia è nettamente segnato dai portali in pietra che marcano i palazzi storici. Le facciate dei palazzi bresciani sono di solito assai poco ornate, fanno eccezione solo i portali. Allo stesso modo, Verona presenta il volto urbano più denso di scritte: i prospetti sono affollati di lapidi, come se la storia cittadina dalla latinità in avanti dovesse essere raccontata in pubblico.
Infine, quali palazzi significativi del volto di Trieste dell’800 consigliereste di visitare?
Prima di tutto vorrei porre una minima premessa: salvo palazzo Carciotti, che è un episodio fondamentale del neoclassicismo europeo, il patrimonio architettonico e artistico dispiegato a Trieste non presenta capolavori. Ma è il volto urbano triestino nel suo insieme che costituisce un unicum, poiché ogni palazzo rappresenta un tassello essenziale alla composizione del mosaico complessivo. Detto questo, i momenti di maggiore intensità nel tessuto urbano sono naturalmente i palazzi Carciotti e Revoltella, l’ex hotel de La Ville e attuale sede di Fincantieri, la Borsa Vecchia, il Tergesteo, l’hotel Duchi d’Aosta e palazzo Stratti in piazza Unità d’Italia, l’ex palazzo del Lloyd Austro-ungarico e attuale sede della Giunta regionale. In effetti, il concetto della coralità vale in particolare per le quinte urbane che delimitano piazza Unità, poiché i fastigi collocati sui tetti dei singoli palazzi sono in dialogo tra loro e pure con noi passanti e deambulanti al piano stradale. Mi rimane un interrogativo però: come è possibile che un apparato scultoreo così formidabile e magnifico sia stato lasciato tanto colpevolmente andare al degrado? Come è possibile che il capolavoro assoluto, ossia palazzo Carciotti, da decenni sia stato trascurato in modo indecoroso dalla proprietà comunale? Possibile che, anziché recuperare tanti complessi di poco o pochissimo conto, nemmeno un sindaco abbia posto in priorità il restauro e la valorizzazione del palazzo capostipite e matrice della Trieste ottocentesca? Possibile che l’unico pensiero concepito consista nella volontà di vendere il palazzo, come se fosse un problema insolubile anziché una ricchezza collettiva? Domande retoriche. Purtroppo è stato drammaticamente possibile e continua ad esserlo.
Palazzo Revoltella con le quattro statue sulla balaustra di coronamento dedicate a Commercio, Industria, Ingegno e Navigazione
Avril 2023